Il contrabbando da e per la Svizzera nel secolo scorso
Tra gli innumerevoli episodi di contrabbando o espatrio clandestino che si sono verificati in provincia di Sondrio, in questa sezione della Mostra si raccontano tre vicende, ambientate sul confine italo-svizzero, ricostruite sulla base della documentazione rinvenuta tra i fascicoli penali della Pretura di Sondrio. Queste testimonianze dimostrano che il contrabbando e l’espatrio clandestino erano particolarmente diffusi in varie zone della Valtellina e che, nella maggior parte dei casi, coloro che ne furono accusati vennero scagionati o i reati da loro commessi furono successivamente dichiarati estinti per amnistia. Tra le merci che oltrepassano il confine da e per la Svizzera vi sono riso, farina gialla, suole di gomma, sale, fiaschi di vino, lettere, denaro e persino una macchina da scrivere riposta in una valigia. In alcuni casi i prodotti vengono acquistati o venduti e talvolta invece sono scambiati con altre merci.
Le persone sospette, sorprese lungo il confine, se non rispettano l’ordine di fermarsi e fornire le proprie generalità alle guardie, possono anche essere intimorite con l’uso delle armi, secondo il disposto dell’art. 158 del testo unico delle leggi di Pubblica Sicurezza (approvato con regio decreto 18 giugno 1931 n. 773), il quale dispone che “Chiunque, senza essere munito di passaporto o di altro documento equipollente a termini di accordi internazionali, espatri o tenti di espatriare, quando il fatto sia stato determinato, in tutto o in parte, da motivi politici, è punito con la reclusione da due a quattro anni e con la multa non inferiore a L. 20.000. In ogni altro caso, chiunque espatri o tenti di espatriare senza essere munito di passaporto è punito con l’arresto da tre mesi a un anno e con l’ammenda da L. 2000 a 6000. È autorizzato l’uso delle armi, quando sia necessario, per impedire i passaggi abusivi attraverso i valichi di frontiera non autorizzati”.
La prima storia si svolge nel giugno del 1944, durante il consueto servizio di perlustrazione e appostamento effettuato dagli agenti della Guardia di Finanza, in cui vengono sorprese due persone sospette: Gregorio Fancoli e Paolo Della Valle. Le prime dichiarazioni rilasciate sono per Fancoli “di essersi recato in Isvizzera il giorno prima per acquistare del sale per uso famigliare” e per Della Valle “di essere disertore militare […] fin dall’8 settembre 1943 e che si recava in Italia per consegnare alcune lettere a persone residenti in Comune di Chiuro e di Ponte Valtellina”. I due sono arrestati e condotti in caserma, ma, giunti nei pressi di S. Antonio in Val Fontana, Paolo Della Valle viene ucciso da un colpo di moschetto mentre tenta di fuggire. Gregorio Fancoli è affidato al Comando Militare Germanico di Tirano per l’ulteriore sviluppo delle indagini, e, dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, il 13 agosto 1946, i reati addebitati all’imputato rientrano tra quelli per i quali è stata concessa l’amnistia e perciò il Pretore di Sondrio dichiara di non doversi procedere.
La seconda storia è ambientata in Val di Togno, dove, nel luglio del 1944, quattro persone sospette vengono sorprese dai doganieri tedeschi nel corso dei loro consueti controlli di pattuglia. Due riescono a fuggire, Tommaso Secondo Parolo muore, raggiunto da uno dei colpi di arma da fuoco sparati per avvertimento e Annibale Parolo viene arrestato. Nel corso della perquisizione si raccontano alcuni dettagli dell’azione: “L’italiano posto dietro ad una roccia fu subito perquisito ma non gli si trovò arma alcuna. L’arrestato gridò immediatamente: ‘Vi prego, lasciatemi vivere non sono un partigiano’. Egli raccontò che essi volevano contrabbandare in Svizzera. Lo costringemmo a togliere dal nascondiglio la merce che doveva essere contrabbandata. Quanto di contrabbando fu trovato: 3 sacchi di riso di circa 30 Kg. ciascuno (un sacco portava la sritta [sic per ‘scritta’] ‘Posta Italiana’ e si crede provenire da un furto di posta), poi un sacco di farina di circa 30kg. – Nello zaino egli aveva oltre le cibarie a lui occorrenti, delle suole di gomma”. Annibale Parolo viene imputato di tentato espatrio clandestino e tentata esportazione abusiva di merci e rinchiuso nel carcere di Como. Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, il 14 agosto 1946, tali reati rientrano tra quelli per i quali è stata concessa l’amnistia e perciò il Pretore di Sondrio dichiara di non doversi procedere.
La terza storia vede i protagonisti, Andrea Salvetti e Florindo Parolini, alle prese con il trasporto oltre il confine di una valigia contenente una macchina da scrivere. Giunto al luogo convenuto con due ore di ritardo, Salvetti non trova i contrabbandieri con i quali aveva preso accordi, ma una valigia, appositamente preparata e contenente una macchina da scrivere, che prende con sé incamminandosi verso la Svizzera. Lungo il percorso incontra Florindo Parolini e gli affida la merce, facendosi dare in cambio il compenso pattuito pari a 200 lire. Nel viaggio di ritorno, Salvetti viene arrestato dai militari della Polizia Confinaria Germanica, tradotto al Comando della Polizia Germanica di Como per l’interrogatorio e condotto nelle Carceri giudiziarie di Como. Parolini invece si rende irreperibile. Nel giugno del 1944 Salvetti, munito di foglio di via obbligatorio rilasciato dalla Questura di Como, è scortato nel viaggio in treno diretto a Sondrio, ma, a seguito dei disordini causati da un gruppo di partigiani a S. Pietro di Berbenno, riesce ad eludere la sorveglianza degli agenti e a fuggire. Nel corso del processo, intentato dalla Pretura di Sondrio, Salvetti e Parolini vengono assolti dalle accuse di tentato espatrio clandestino e di mancato rispetto degli obblighi derivanti dal foglio di via obbligatorio e dichiarati colpevoli di tentata esportazione abusiva e condannati ciascuno a 15 giorni di reclusione e a 500 lire di multa e inoltre al pagamento delle spese processuali. Il reato rientra infine tra quelli dichiarati estinti per amnistia (secondo il disposto dell’art. 1 del decreto del Presidente della Repubblica del 19 dicembre 1953 n. 922, Concessione di amnistia e di indulto).
L'inescusabile "contrabbando alla rovescia" del tempo di guerra
Sulle conseguenze della pratica del contrabbando si possono rinvenire inoltre alcune riflessioni in un articolo pubblicato su “Il Popolo Valtellinese” di quel periodo:
“Abbiamo stigmatizzato il contrabbando che può definirsi classico, quello della importazione clandestina di coloniali e prodotti dell’industria colpiti da forti diritti di dogana, a danno dell’erario nazionale e quindi dei contribuenti onesti. In tempi normali tale attività viene punita con multe ed ammende e colla confisca della merce, salvo il caso di contrabbando in unione e di recidiva specifica, pei quali la legge commina anche il carcere. In tempo di guerra però l’attività contrabbandiera arreca alla Nazione altri danni e pregiudizi, oltre la frode all’erario: l’acquisto incontrollato di generi all’estero ha quale prima conseguenza l’esportazione di valuta, la quale sfugge così ad ogni controllo, provocando difficoltà monetarie per le importazioni indispensabili e l’inflazione, perché la valuta che emigra all’estero vi rimane per un lungo periodo di tempo ed il Tesoro è costretto a mettere in circolazione un uguale numero di biglietti, per sopperire alla loro deficienza pei bisogni interni. I fornitori all’estero si mettono preventivamente al coperto con un cambio da borsa nera, elevato a più volte il cambio ufficiale. Tali biglietti ritornano più tardi in Italia ad aggiungersi agli altri ed il giuoco continua sempre a vantaggio dell’estero, che ogni giorno riceve la nostra valuta ad un cambio sempre più basso. L’esistenza oltre confine di vistose somme in valuta italiana provoca l’acquisto da parte di cittadini stranieri, ed a prezzi corrispondenti all’abbondanza ed al poco costo di tale valuta, di generi alimentari, bestiame da macello, cavalli, terreni, incrementando ed inasprendo in Italia il mercato nero e facendo salire i prezzi, e, quello che più importa in questo momento, inasprendo la deficienza dei generi alimentari. Migliaia e migliaia di pecore e capre, quintali di insaccati di suini, tonnellate di riso e farine, centinaia di cavalli e muli, tessuti, conserve, amianto, tutto quanto può servire ai nostri vicini svizzeri per liberarsi della valuta italiana avuta, non saprei a quale cambio, hanno varcato clandestinamente il confine in questi ultimi anni e lo sconcio non accenna a cessare. Reso impossibile, per le note contingenze belliche, il contrabbando classico, si è creato un contrabbando alla rovescia, più immorale, più criminale, più antipatico ed inescusabile di ogni vecchia forma di contrabbando, avendo tutti gli aspetti e gli effetti di un vero tradimento. È una vera calamità che si aggiunge alle altre di cui già soffriamo ed alla quale occorre far fronte da parte delle Autorità, intensificando la vigilanza ai confini e prendendo provvedimenti draconiani, non soltanto contro gli strumenti del contrabbando, ma anche contro i loschi affaristi, che vivono e guadagnano nell’ombra e molti dei quali sono già individuati o si possono smascherare. È noto che non è mancata in molti casi, e sono sempre i più gravi, la complicità interessata e venale di chi doveva vigilare e reprimere. Non è il momento delle debolezze e l’omertà in questo campo è delitto; chi viene a conoscenza di qualche fatto o di qualche progetto del genere parli con chi di dovere: farà il proprio interesse e quello dei suoi simili e si renderà benemerito della Patria”.
(Sergio Ch., Il contrabbando in tempo di guerra, in
“Il Popolo Valtellinese”, anno XXII, n. 6, Sondrio,
5 febbraio 1944, p. 4).
Le testimonianze selezionate offrono dunque uno spaccato della quotidianità della società tra il 1943 e il 1945, disorientata dopo l’8 settembre 1943, stremata per i disagi derivanti dal secondo conflitto mondiale e in cerca di forme alternative di approvvigionamento o di guadagno o di possibili spiragli di salvezza da un destino incerto.